Mariarosa Tabellini
Caro Don Sergio,
le vostre foto dall’Africa, la fatica, i sorrisi, sono un soffio di aria pura che ci viene da lontano, a illuminare la cupezza inquinata dei nostri giorni vicini.
Mentre voi eravate laggiù, a organizzare, a collaborare, a operare con fatica ma certo con soddisfazione, noi qui abbiamo assistito sgomenti, oltre alle ormai troppo consuete tragedie del mare, a scenari di bambini tolti alle loro scuole, strappati a maestre e compagni che lamentano di non aver avuto modo nemmeno di salutarli. Deportati. Come siamo arrivati a tanto? Imbevuti di paure, ipocrisie, falsità. Lasciare che le persone scompaiano risucchiate nel cimitero del mare è forse togliere incentivo all’ingordigia degli scafisti? Impedire che dei bambini frequentino le scuole – le nostre scuole – è forse un rimedio contro la criminalità? Bruciare le povere cose di chi è costretto a una vita per strada, e lo fa con pudore e probabilmente con vergogna, è un atto di cui vantarsi? Ci dicono che è colpa della “crisi” che ha portato povertà. Ma che vuol dire? I “poveracci” non covano rabbia. Vedo piuttosto montare la rabbia e l’egoismo negli insoddisfatti, la competizione per i consumi spesso artatamente costruita, l’intolleranza non solo verso i “diversi”, ma verso tutto ciò che non rientra nel nostro limitatissimo perimetro.